Razzismo

Il razzismo negli Stati Uniti d'America è un fenomeno storico complesso che affonda le sue origini nel periodo subito seguente l'era coloniale ed espansionistica della nazione, in seguito dovuto ai massicci moti d'immigrazione proveniente da territori europei, asiatici, latinoamericani ed africani agli albori del XIX secolo.

L'atteggiamento di discriminazione razziale fu rafforzato dalle guerre indiane, per giustificare il genocidio, protratto per decenni, delle popolazioni pellerossa per sottrarre loro le terre: gli indiani non erano "davvero" esseri umani, e quindi nemmeno a loro si applicavano le considerazioni "umanitarie". La conquista del continente americano portò ad un totale di morti indigeni che secondo le stime più recenti oscilla tra i sessanta ed i cento milioni, di cui venti milioni durante le guerre indiane nel Nord America

Nell'America coloniale, gli schiavi di origine africana erano usati a fianco degli schiavi bianchi, di solito vincolati alla condizione servile da contratti con una scadenza determinata, in gran parte firmati per pagare le spese di trasferimento nel Nuovo Mondo. Alla scadenza di tali contratti gli europei che erano sopravvissuti recuperavano la libertà (non era previsto che i neri potessero recuperare la libertà alla scadenza di un certo periodo di tempo).


Subito dopo l'indipendenza (avvenuta nel 1776) le leggi statunitensi del 1790 sulla naturalizzazione garantivano la cittadinanza solo alle "persone bianche libere", il che significava generalmente che veniva concessa solo a coloro che erano di origine anglosassone.


Venuta meno l'utilità economica dello schiavismo negli stati industrializzati del Nordamerica, il 1º gennaio 1863 il presidente repubblicano Abraham Lincoln abolì la schiavitù con il Proclama di Emancipazione. Gli stati agricoli del sud si confederarono a difesa della schiavitù dando inizio alla guerra di secessione americana. L'abolizione della istituzione schiavistica tuttavia rafforzò e istituzionalizzò l'ideologia razzista, e a partire dagli anni 1870, con l'affermarsi delle teorie del cosiddetto «razzismo scientifico» moltissimi stati americani introdussero leggi discriminatorie  tra cui il reato di mescolanza razziale, cioè la proibizione dei matrimoni misti e delle unioni interrazziali, ed ebbe inizio il fenomeno della segregazione razziale.

Nella maggior parte degli stati segregazionisti le persone che immigravano da Portogallo, Spagna, da una piccola parte della Francia meridionale e dalla Liguria, dall'Italia meridionale, dalla Grecia, dal Nord Africa e dal medio oriente, furono classificati diversamente dai «bianchi» e il termine «bianco» iniziò a identificare principalmente gli anglosassoni, i germanici e gli scandinavi. L'appartenenza alla razza bianca dei non-nordici (slavi, ecc.) era spesso messa in discussione. Ma erano soprattutto gli europei del sud, appartenenti alla presunta razza mediterranea, a sottostare alle condizioni peggiori, e in molti stati essi erano legalmente equiparati ai neri e privati, con diverse accentuazioni da stato a stato, dello status e dei diritti riservati ai soli bianchi.
La campagna ideologica di Grant raggiungerà l'obiettivo di fare chiudere le frontiere tra il 1921 e il 1924, e a partire dal 1924 di far restringere l'immigrazione dai paesi dell'est e del sud Europa, e di ostacolare quella ebraica. Questa decisione avrebbe avuto conseguenza catastrofiche durante la Shoah.
Negli anni 1930, i segregazionisti estesero i diritti a tutti i «caucasici», gruppo razziale che includeva anche i mediterranei, e che era suddiviso in «White Caucasian» (caucasica bianca: anglosassoni, scandinavi e germanici) e «Caucasian» (caucasica).
Tutte le altre presunte razze non caucasiche invece rimasero escluse dai diritti civili per altri venti anni. Sarà negli anni 1960, a seguito delle numerose battaglie condotte dai moltissimi movimenti per i diritti civili, all'insurrezionalismo di Malcolm X e alla famosa marcia pacifica di Martin Luther King, che le leggi sulla segregazione razziale dei neri negli stati del sud verranno abolite dal governo federale, a quasi cento anni dalla loro entrata in vigore. Ciò avverrà nel 1964 con l'approvazione del Civil Rights Act e nel 1965 con il Voting Rights Act.

(Da wikipedia)

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